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![]() COLONIALISMO IN AMERICA LATINA L'ascesa dei grandi stati nazionali europei nei secoli XVII e XVIII spinse le monarchie assolute a utilizzare le scoperte geografiche e le nuove tecniche di navigazione per affermare fuori del continente la politica di potenza già applicata in Europa. Le colonie dovevano servire soltanto all'arricchimento e allo sfarzo delle metropoli; vincoli protezionistici assai pesanti (vedi mercantilismo) e un forte controllo militare contribuirono a rendere ancora più evidente la subalternità dei territori extraeuropei di recente conquista, ai quali era estesa senza soluzione di continuità la maglia amministrativa e gerarchica esistente nella madrepatria. Spagna, Portogallo e Francia, in particolare, si affidarono a questo rigido sistema di espansione coloniale, che contribuì a far affluire, dagli immensi spazi dell'America del sud conquistati nel Cinquecento e soprattutto nella penisola iberica, enormi quantità di ricchezze, peraltro solo in minima parte investite nella modernizzazione dell'amministrazione e dell'economia. Nel 1542 sorse lungo le coste del Pacifico, là dove era fiorita la civiltà incaica, il vicereame del Perù, che presiedeva allo sfruttamento delle ricche miniere d'argento della catena andina. Nel 1718 gli si affiancò quello di Nueva Granada, esteso in un'area in seguito coperta da Ecuador, Colombia e Venezuela. Nel 1776, infine, sorse il vicereame del Plata, che dai due centri di Buenos Aires e Sacramento si estendeva verso l'entroterra. Dotati di una certa autonomia politico-amministrativa, i centri urbani rappresentavano i collettori delle risorse drenate nel territorio. I conquistadores avevano, inoltre, diviso la terra in grandi latifondi (vedi encomiendas), nei quali gli indigeni, considerati fino alla metà del XVI secolo alla stregua di schiavi, lavoravano in permanente subalternità. Enormi flotte, sistematicamente esposte alle incursioni dei pirati britannici, francesi e olandesi, portavano in patria l'argento estratto dai bacini minerari delle Ande. Attenuatosi nel corso del XVII secolo, il flusso delle risorse naturali verso Madrid finì per inaridirsi: nel 1782, il corrotto e inefficiente apparato burocratico delle intendenze latinoamericane ingoiava circa l'80 per cento delle entrate fiscali raccolte nelle colonie. La sola Guyana fu esposta alla penetrazione di olandesi, francesi e britannici, mentre il Portogallo era riuscito invece a stabilire alcune basi commerciali lungo la costa meridionale atlantica. Dalle città, cresciute rapidamente grazie alla mitezza del clima e alla fertilità del suolo (Olinda, 1537, e poi Bahia, Rio de Janeiro e San Paolo), i conquistatori portoghesi si spinsero nell'entroterra, al punto che la corona decise di dividere il territorio del Brasile, ancora limitato alla fascia costiera, in dodici capitanie ereditarie, sorta di staterelli semifeudali e quasi indipendenti. Avventurieri portoghesi, organizzatisi in bande armate, penetrarono nell'interno del paese, limitandosi tuttavia a far incetta di schiavi e di bestiame. Solo la scoperta dei giacimenti auriferi di Minas Gerais (1693) e del Mato Grosso (1720) risvegliarono l'interesse di Lisbona per le vaste foreste brasiliane. Nel 1777, il trattato di San Ildefonso con la Spagna divise il cuore del continente in sfere d'influenza e consentì ai portoghesi di procedere allo sfruttamento della preziosa risorsa. Fino alla seconda metà del XVIII secolo tuttavia, a parte il caso della catena andina, l'entroterra dell'America del sud non aveva attratto l'attenzione dei colonizzatori. Dagli ultimi anni del XVI secolo la Spagna aveva affidato agli ordini missionari il compito di stabilirsi nella foresta vergine, lungo il percorso dei fiumi principali (Paraná, Orinoco) per convertire gli indigeni. I gesuiti, in particolare, conseguirono i maggiori successi economico-politici, dando vita a un vero e proprio stato nella zona del Paraguay. A partire dal 1607, le riduzioni, sorta di comuni dai quali era bandita la proprietà privata, si moltiplicarono anche in territorio brasiliano, nonostante le frequenti incursioni dei cacciatori di schiavi. Il contraccolpo sociale derivato dalla cacciata dei gesuiti (1767), ormai divenuti potentissimi, e dalla vendita dei loro beni, fu tale da innescare una crisi economica e da scatenare, intorno al 1780, la rivolta di Tupac-Amaru. Alle soglie del XIX secolo, i vincoli tra le colonie e la madrepatria s'erano notevolmente attenuati. Il "patto coloniale", che escludeva il commercio con stati terzi, era ormai indifendibile, data la crisi profonda della penisola iberica. In secondo luogo, la formazione di una borghesia creola (di origine spagnola o portoghese, ormai di fatto autoctona), esclusa dal potere politico e amministrativo, in mano a funzionari provenienti dalla madrepatria, creava forti tensioni all'interno dei gruppi dirigenti. Infine, la Gran Bretagna contribuiva ad assecondare le tendenze autonomistiche e separatistiche, in vista di una possibile penetrazione commerciale. La rivoluzione americana e la propagazione delle idee illuministiche, propiziata dal rapido moltiplicarsi di logge massoniche, spinsero all'azione i discendenti dei conquistadores (vedi creoli). Quando, nel 1808, Napoleone invase la Spagna e rovesciò la dinastia borbonica, il vuoto di potere creatosi nell'amministrazione coloniale spinse la borghesia creola possidente e fondiaria a creare giunte provvisorie, il cui obiettivo, tuttavia, non era ancora la piena indipendenza. Solo con Francisco de Miranda (1752-1816) il movimento acquisì maggiore consapevolezza politica portando, nel 1811, alla proclamazione della libertà del territorio venezuelano. Simón Bolívar (1783-1830), anch'egli venezuelano, grazie all'appoggio britannico, proseguì la guerra di liberazione anche all'indomani della restaurazione borbonica, validamente coadiuvato, in Argentina, da José de San Martín (1778-1850). Nel 1816 sorsero così gli Stati Uniti del Rio de la Plata (Argentina); nel 1818 il Cile; nel 1819 la Grande Colombia (poi frazionata, nel 1830, nelle repubbliche di Ecuador, Colombia e negli Stati Uniti di Nueva Granada); nel 1821 il Perù; nel 1825 la Bolivia. Quanto al Brasile, fu l'unico paese a raggiungere l'indipendenza per via pacifica con Pietro I di Braganza (1822-1831). R. Balzani ![]() M. Carmagnani, L'America latina dalla fine del '500 a oggi, Feltrinelli, Milano 1975; P. Chaunu, Storia dell'America latina, Garzanti, Milano 1977. |
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